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La coltivazione del castagno come albero da frutto in Val di Bisenzio si è diffusa grazie ai Longobardi, prima dell’anno 1000. Territorio in gran parte montuoso dove le coltivazioni estensive di cereali sono sempre state difficoltose proprio per le aspre pendenze, la castagna è alla base della nutrizione delle popolazioni locali da tempo immemore: la castagna (e la sua farina) è stata pane e companatico per secoli.
Le castagne- delle varietà storicamente diffuse in Val di Bisenzio ovvero Caralese, Morbida, Carrarese, Pastinese, Brandigliana, Rossola, Molana e Salvana – vengono raccolte manualmente fra ottobre e novembre e vengono portate ad essiccare alle numerose “cannicciaie” posizionate nei castagneti o dentro i borghi: si tratta di strutture spesso secolari, patrimonio storico e testimonianza della vita rurale che si conduceva in Val di Bisenzio.
La cannicciaia, spesso in pietra, è una struttura a due piani che ha un solaio fatto di travi in legno, dove, prima dell’essiccazione vengono disposti i “cannicci” dove poi saranno adagiate le castagne da essiccare. I frutti riposano dai 30 ai 40 giorni sulle graticce, dove il fumo caldo che proviene dalla brace rigorosamente di legno di castagno e “pula” (pulitura delle castagne) le asciuga, fino a farle diventare opache e finché la buccia non si stacca dalla polpa. Le castagne vengono rigirate affinché l’essiccazione risulti omogenea. Dopodiché, avviene la “pestatura”, che tradizionalmente avveniva manualmente mentre adesso viene effettuata con macchinari meccanici che aiutano a separare la buccia dalla polpa. Le castagne secche vengono così portate a macinare in tradizionali mulini (alcuni ad energia elettrica, altri ancora azionati dalla forza idraulica, ma con macine in pietra).
Alcune curiosità.
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