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    Associazione Sviluppo Turistico Valbisenzio

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  • Rocca di Cerbaia

    “Chi percorrendo la Valle del Bisenzio ammira le romantiche cime dei monti che s’innalzano a picco ai due lati del fiume, resta ad un tratto sorpreso quando al piegar della strada per Usella e Carmignanello, gli apparisce — quasi visione fantastica — un diruto castello. Il tempo ha scosso l’ala sulle sue rovine; le maledizioni dei tempi passati hanno offuscato gli splendori della tirannide. Delle quattro torri degli angoli, dei bastioni di cinta, delle porte e finestre rotonde più non esistono che poche vestigia. Solo il cassero sorge ancora in frammenti, bruno, terribile, spiccato sull’orizzonte. Sembra che racchiuda la fiera anima del feudatario come in un degno sepolcro. Quel castello diruto è Cerbaia.”


    Con queste parole Emilio Bertini, professore di lettere al Collegio Cicognini di Prato e fondatore della sezione pratese del CAI, inizia a raccontare la storia della Rocca così come l’ha avuta dall’Avv. Vittorio Ugo Fedeli, erudito ed integerrimo segretario comunale di Vernio, pochi giorni prima di essere ucciso per ritorsione non avendo voluto certificare un irreale impedimento ad un renitente alla leva. I primi documenti che parlano di Rocca Cerbaia (Cerbaria o Cervaia) di evidente etimologia, risalgono al XII secolo, quando la Rocca apparteneva ad un barone alemanno che l’aveva occupata con le sue truppe discese alla conquista dell’Italia. I conti Alberti di Vernio, detti “i conti rabbiosi” per impadronirsi di quella rocca e della foresta circostante, si rivolsero nel 1164 a Federico Barbarossa chiedendogli terre e vassalli. Federico concesse agli Alberti gran parte del territorio toscano e bolognese ed anche Cerbaria, coonestando tale atto prepotente col sic voleo, sic jubeo. Così i Conti Rabbiosi, forti della pergamena imperiale, si impossessarono della Rocca, dopo un assalto che cacciò il tirannello straniero, il 20 gennaio 1165. Dieci anni dopo Ezzelino da Romano fu accolto alla Rocca Cerbaia per sposare Adelaide degli Alberti, bellissima ed erudita, che fu sposa infelice nel castello di Bassano.

    La Rocca Cerbaia, divenuta dimora degli Alberti, si trovava in un punto strategico per il controllo del passaggio dalla piana di Prato al bolognese, e, inoltre, le truppe al soldo degli Alberti erano un potente deterrente per gli odiati fiorentini e pistoiesi. Centoventicinque anni dopo l’occupazione di Cerbaia e di tutto l’enorme territorio circostante componente la Contea di Vernio, una sera d’inverno del 1285, mentre la neve cadeva sulla valle del Bisenzio, Dante Alighieri, uscito da Firenze, si presentò al portone della Rocca per chiedere ospitalità agli Alberti.

    Torno a quanto riportato da Emilio Bertini nella sua “Guida della Val di Bisenzio” del 1881. Le parole sono probabilmente dell’Avv. Fedeli:


    Il ventenne poeta saliva freddoloso, intirizzito, ghiacciato, l’erta disastrosa del castello di Cerbaia. La porta rotonda dai chiodi di ferro che gli si presentava davanti alla vista era per lui un faro in quel mare di neve. Pensava alla gentile accoglienza che avrebbegli fatto il barone od il castellano; forse la sua giovane mente si spaziava in sogni dorati, in fantasie da poeta. Si accostò alla porta ferrata e chiese ospitalità, come l’avrebbe domandata un paltoniere qualunque — per l’amor di Dio. Ma il ponte a levatoio rimase immobile: nessun portiere, nessun valletto corse ad aprire. E la neve continuava a cadere fitta e gelata. Pregò nuovamente, ma invano. Dante trovò riparo in una capanna poco lontano, ma si ricordò dello sgarbo subito ad opera di Alessandro e Napoleone conti di Vernio. Vent’anni dopo infatti ritroviamo i due fratelli nel XXXII canto dell’inferno:


    Se vuoi saper chi son cotesti due,
    La valle onde Bisenzio si dichina
    Dal padre loro Alberto e di lor fue.
    D’un corpo usciro; e tutta la Caina
    Potrai cercare, e non troverai ombra
    Degna più d’esser fitta in gelatina.


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    Nel 1361 la Repubblica fiorentina, allo scopo di tenere a freno la tracotanza dei figli di Piero de’ Bardi, feudatario di Vernio, comprò Cerbaia per seimiladuecento fiorini d’oro da Niccolò d’Aghinolfo, nipote dell’ultimo Alberti, Orso, ucciso a tradimento dal cugino Alberto di Celle, a sua volta ucciso dal nipote bastardo Spinello. Dagli statuti di Firenze del 1415 si rileva che Cerbaia, assieme a Usella e Gricigliana, formò una nuova comunità della Repubblica. L’ultimo capitano di Firenze lasciò pochi anni dopo la Rocca che, a poco a poco, abbandonata alle intemperie, degradò. Nel corso della sua storia la Rocca subì numeroso mutamenti, il più importante quello praticato dagli Alberti allo scopo di renderla abitazione della famiglia; dopo l’acquisto del 1361 la Repubblica fiorentina ne rafforzò le difese con la costruzione di una seconda cinta muraria ed altri edifici prossimi alla Rocca fra cui una palazzina che tuttora fiancheggia la strada, dove fu insediata una guarnigione militare. Da questa palazzina, ora Villa Edelmann attualmente disabitata, la Rocca era, ed è raggiungibile attraversando un ponte medievale dove una bizzarra natura ha fatto crescere un cipresso le cui radici affondano nella struttura stessa del ponte. Costruito in pietra arenaria è di difficile datazione, comunque risalente all’alto medioevo; si presume anteriore alla costruzione della Rocca; l’Alighieri lo avrà percorso quell’inverno del 1285, come adesso lo percorre ogni escursionista che desideri raggiungere i quattrocento metri di altezza della Rocca, anzi proprio a Dante è stato intitolato il percorso, il nuovo “sentiero di Dante” inaugurato lo scorso maggio, più lungo ma meno ripido, dopo che il vecchio è stato chiuso per pericolo di frane.
    Nel corso dei secoli il territorio di Cerbaia ha cambiato proprietà più volte, dai Novellucci, cinquecentesca famiglia nobile pratese, agli Edelmann attuali proprietari di Cerbaia dai quali il Comune di Cantagallo, nel cui territorio si trova la Rocca, ha acquistato nel 1999 l’antico monumento rendendolo patrimonio pubblico. I successivi dieci anni di lavori, scavi e consolidamenti, hanno reso fruibile la Rocca e portato alla luce anche una cappella ed un piccolo cimitero, nonché un grande argano sollevatore in legno, unico in Europa, usato per la costruzione e ricostruito all’interno della Rocca.
    L’attuale Sentiero di Dante ci porta alla Rocca da dietro la stessa, con alle spalle il paese di Montecuccoli oltre il quale si trova Barberino del Mugello, permettendoci di ammirarla da un punto più alto in tutta la sua pur residua potenza e maestosità. Il silenzio del bosco circostante non fa che amplificare l’emozione del visitatore, mentre le foglie mosse dal vento riportano voci lontane nel tempo.
    Restano comunque dei dubbi circa la venuta di Dante alla Rocca: nel 1285 il poeta aveva sposato Gemma di Manetto Donati, matrimonio combinato, senza amore, e solo dal gennaio 1302 fu esule da Firenze, e nessuna biografia, se non la ricerca del Fedeli, riportano tale notizia. Una cosa però è certa, il fatto che Dante a Firenze abbia conosciuto Cunizza da Romano, figlia di Ezzelino II e di Adelaide degli Alberti, e probabilmente se ne era invaghito, bella e passionale com’era; sposa infelice di Rizzardo da Verona, fu fatta rapire da Ezzelino III per oltraggiare il cognato rivale. Forse era sparita da Firenze, forse Dante era andato a Cerbaia nella speranza di poterla rivedere, rientrata nella casa materna? Forse, come sono tanti i forse di questa epoca di intrighi. Fatto sta che Dante nella sua Divina Commedia pone Cunizza in Paradiso (canto IX – 13-36):


    D’una radice nacqui e io ed ella:
    Cunizza fui chiamata , e qui refulgo
    perché mi vinse il lume d’esta stella.


    Dante, Dante! Così affascinato dalle donne da cercarle fino a Cerbaia? Mah! Certo, da metterle in Paradiso sì.


    Alberto Badolati

    Rocca cerbaia


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