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  • Vini della Provincia di Prato

    LA STORIA


    Dagli Etruschi al Medioevo

    La storia del vino nella zona di Prato, di cui siamo a conoscenza parte da molto lontano, dal VII sec. a.c.,quando le zone tra Comeana, Artimino e Carmignano erano già importanti per la produzione di vino, lo testimoniano reperti rinvenuti appunto in queste zone dove gli Etruschi erano sopratutto pastori ed agricoltori,con la viticultura raggiunsero grandi traguardi e grandi commerci, prima marittimi attraverso il mediterraneo (valicando le zone del Montalbano si aveva accesso all'Arno che era per quell'epoca navigabile fino al mare), poi dopo il 600 a.c. anche per via terrestre fino al nord Europa, in questo periodo nella zona di Gonfienti, tra il fiume Bisenzio,il Marinella ed i monti della Calvana si sviluppava una attenta rete urbanistica che per 2 secoli porterà Gonfienti ad essere un importante centro commerciale e tessile dell'Etruria.
    Indizi storici ed archologici fanno pensare che sotto la città di Prato si nasconda la leggendaria Camars città-stato del re Porsenna, ma questa è un'altra storia, torniamo sulle tracce del vino etrusco, questo era molto prezioso, esportato in capienti anfore, gli etruschi cedevano vino in cambio di metalli, sale ed anche schiavi, secondo alcune testimonianze i Galli pagavano ben uno schiavo per un’anfora di vino, producevano un vino giallo dorato, aromatico, profumato e carico di alcool, in origine gli etruschi, che probabilmente avevano appreso di Greci una rudimentale tecnica di vinificazione, facendo semplicemente fermentare i grappoli della vite, ottenevano una bevanda aspra, in seguito i primi passi verso la viticoltura con una selezione dei grappoli, con la potatura delle viti ed infine con le prime combinazioni tra le varie qualità per ottenere un prodotto sempre più piacevole al palato, si produceva prevalentemente vino bianco considerato più prelibato rispetto al vino rosso.In quel periodo si sviluppavano tra gli Etruschi culti Dionisiaci legati al culto del vino, a questi banchetti o simposi, veniva offerto il vino, solitamente mescolato ad acqua, aromatizzato ed addolcito con miele erbe e spezie, questa pratica sarà poi la base per la produzione dell'Ippocrasso e successivamente del Vermouth di Prato, i Kantharos ossia i calici ed altri tipi di recipienti che venivano usati sia in queste manifestazioni dove non mancavano riti, balli e canti,sia per funzioni funebri sono stati ritrovati nelle tombe Etrusche.
    Secondo alcuni storici, l'attrazione per questa bevanda avrebbe contribuito ad indurre i Celti ad invadere l'Etruria nel IV sec a.c.. I Romani apprendono dagli Etruschi le tecniche di vinificazione e così prosegue la tradizione tra alti e bassi fino al medioevo, quando ritroviamo in una celebre terzina di Dante nel (Purgatorio)il vino come sintesi dell'energia del sole che trasforma in linfa l'uva della vite, così come l'uomo possiede un'anima per intercessione divina:
    "E perchè meno ammiri la parola, guarda il calor del sol che si fa vino, giunto a l'omor che de la vite cola".

    Le concezioni mediche del mondo antico riprese nel medioevo attribuivano al vino indiscusse qualità salutari, fino a ritenerlo esso stesso un farmaco, si scriveva nel XIII sec. che “il vino dà buon nutrimento e rende sanità al corpo ... conforta la virtù digestiva così nello stomaco come nel fegato ... si converte in naturale e mondissimo sangue ... fa dimenticare tristezza e angoscia ... è dunque conveniente ad ogni età”(Pier de Crescenzi 1233-1320).

    L’importanza che la società toscana del tardo Medioevo attribuiva al vino portava addirittura a una rivalutazione sociale dei contadini che lo producevano come attesta un brano di una novella di Franco Sacchetti: questi non ‘villani’ dovrebbero essere chiamati ma ‘cortesi’ dal momento che preparano quel nettare per i cittadini. Accanto alle virtù terapeutiche si riconosceva al vino, o ai suoi derivati come l’aceto, una funzione igienica. Il vino infatti è stato per lungo tempo la sola bevanda sicura dal momento che l’acqua spesso non era potabile, anzi l’abitudine di mescolare il vino all’ acqua rispondeva alla necessità di contrastare con una bevanda alcolica un liquido poco affidabile. Nella Toscana dell’età di Dante, quando il popolamento della regione crebbe a livelli altissimi, il consumo di vino raggiunse cifre assai elevate contribuendo all’estensione della viticoltura in ampie aree della regione, il vino venduto al minuto era sottoposto a forte tassazione. La viticoltura era ampiamente diffusa nelle aree collinari e in quelle pianeggianti, più pregiati i vini prodotti nelle colline di Carmignano, Mugello, Chianti e Montepulciano dove il loro prezzo arrivava a 40 soldi al barile, mentre i vini della pianura tra Prato Firenze e Pistoia, meno pregiati costavano circa 15.Il trecentesco Statuto della Lega del Chianti riporta quanto segue: molti sono quegli che per bisogno et chi per non havere vino in casa [ ... ] vendemmiano le loro vigne prima che l’uve sieno mature, che gran danno ne riceve la Lega perché non possono essere buoni vini et non si possono poi al tempo vendere.

    Ovviamente le date della vendemmia variavano a seconda delle zone e della stagione, in sostanza nei secoli XIII-XV ci troviamo di fronte a vendemmie in genere abbastanza tardive, che corrispondevano agli ultimi giorni di settembre e ai primi di ottobre. Bisogna accennare anche a una raccolta precoce dell’uva che veniva effettuata con scopi diversi dalla vinificazione,in moltissime parti della Toscana ad agosto si raccoglievano grappoli d’uva acerba per fare l’agresto, succo utilizzato come condimento dei cibi sulle mense dei ricchi, il liquido uscito dalla spremitura dei grappoli acerbi veniva posto in un vaso al sole con l’aggiunta di sale; dopo due o tre giorni l’agresto era pronto.
    Per produrre il vino i grappoli venivano raccolti in cesti e gerle poi rovesciate nelle bigonce, contenitori in legno dalla forma tronco-conica. Qui avveniva una prima pigiatura utilizzando un bastone chiamato “mostino”; le bigonce venivano poi portate nella tinaia e il contenuto versato nei tini dove si completava la pigiatura con i piedi nudi. Seguiva la fermentazione del mosto che durava 10-15 giorni e durante la quale veniva regolarmente mescolata la parte superiore del tino per togliere le vinacce che emergevano durante la fermentazione, in questa fase era anche praticato l’uso di “governare” con mosti di pregio per migliorare la qualità del vino; terminata la bollitura avveniva la “svinatura”, ossia il liquido veniva fatto passare nelle botti per l’invecchiamento.La vinaccia che rimaneva sul fondo del tino veniva mescolata all’acqua producendo un vinello leggero, l’acquerello. Scriveva da Firenze Lapo Mazzei a Francesco Datini, l’8 dicembre 1396: “El vino cotto è comperato, buono e ottimo da Carmignano; perché i saggi da Coiano mi costavano lassù uno fiorino la soma; che ci ha più di XXI miglio; di che poi sentì già fa più e più anni non s’è fatto cotto a Carmignano, se none vanno. Honne auti i saggi, e paragonati ...”

    Più la regione che produceva un vino era distante e lontana dalle città, più quel vino costava, erano i trasporti infatti che facevano lievitare il prezzo nel Medioevo. Ecco un accenno alla cantina di Francesco Datini: " ... In questo quadernuccio iscriveremo quanto vino imbotteremo, qui in Firenze quest’anno 1398, a dì 18 ottobre; e quanto per botte e in che botte e chome e da cchi l’aremo e di che luogo. Nella terza botte, da nuovo mancha nella volta nostra, à baril nove di vino vermiglio di due regioni, cioè: barili 6 del vino d’Andrea de’ Pazzi e barili 3 di quello venne da Prato di Stefamno da Filettore. Nella quarta botte, nell’uscio della volta, à barili dodici di vernacciuola avenmo da Charmignano, da Lionardo Mazzei ".

    All’inizio del 1300, scrive Melis nella “Storia dei vini italiani nel Medioevo”, i vini venivano prodotti nei luoghi più vicini ai mercati di consumo perché il costo del trasporto era troppo elevato. Una delle innovazioni dei grandi mercanti fu quella che chiamiamo oggi “nolo differenziato”, il costo del trasporto veniva proporzionato non solo alla distanza ma al valore della merce. Questa tariffa proporzionale ha permesso la nascita del grande mercato internazionale, anche per i vini e per l’olio. Alla fine del ‘300 non si acquistavano più vini, spesso scadenti, provenienti dalla zone talvolta pianeggianti e umide immediatamente vicine alle città, se non dentro le città stesse,Il vino per chi sapeva bere arrivava ora da Carmignano e da altre zone felici: si cercava la qualità dove la natura poteva darla.


    Dal Rinascimento ai giorni nostri

    Dal 1480 Lorenzo il Magnifico veniva a Poggio a Caiano e nelle colline di Artimino , da questo periodo la costruzione delle ville Medicee che rimarranno Patrimonio dell'Umanità, da qui da queste colline incantate e stracolme di viti si pensa possa aver scritto ed inneggiato al carpe diem epicureo del tempo che fuggge: Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto, sia, di doman non c’è certezza. Quest’è Bacco e Arianna, belli, e l’un dell’altro ardenti, perché’l tempo fugge e inganna, sempre insieme stan contenti (...).
    Questi lieti satiretti, delle ninfe innamorati, per caverne e per boschetti han lor posto cento agguati, or da Bacco riscaldati, ballon, salton tuttavia. Sono i versi della Canzona di Bacco e forse è proprio su queste colline che il Magnifico la compose nel 1490: lui che già nel Simposio, nel 1466, aveva cantato dei “beoni” del contado. Il vino, di cui il Montalbano era già rinomato, e l’idea dionisiaca era del resto un elemento centrale nel contesto dell’Umanesimo fiorentino. Bacco era il dio dell’ebbrezza e della frenesia, dell’abbandono alla gioia, ai piaceri ma anche all’estrema follia. Di doman, appunto, non c’è certezza: chi vuol esser lieto, lieto sia.

    Leonardo da Vinci, che era conosciuto ed apprezzato anche per la conoscenza, passione e coltivazione delle vigne, ritenuto probabilmente il primo enologo e sommelier della storia, che pergiunta era spesso in quel di Bacchereto in visita alla nonna paterna Lucia e dove probabilmente ha trascorso l'infanzia ed ha iniziato i primi studi sulla lavorazione della terracotta, in seguito la sua applicazione anche nel mondo enologico, attribuisce al vino quasi un ruolo spirituale: "il vino, il divino li core ".

    Il Barco Reale è un vino. Ma è anche e soprattutto una delle più importanti “riserve naturali” volute dai Medici, istituito nel 1626 e “sbandito” nel 1772. Nel bando del granduca Cosimo III il Barco fu preso a riferimento per segnare i confini della produzione del Carmignano. La riserva copriva gran parte del territorio dei comuni di Carmignano e di Poggio a Caiano, circondata e delimitata da un muro alto due metri e lungo 52 chilometri (30 miglia e più). A custodirla, attenti soprattutto agli aspetti venatori e al piacere del principe e signore (maanche a quelli forestali ed agricoli), vi erano delle guardie: i birri. All’interno del Barco sorgeva il Barchetto della Pineta: riserva con accesso dalla porta, ancora conservata, di Poggio alla Malva. Una fotografia perfetta, una sorta di censimento puntuale di quali vitigni fossero coltivati sul Montalbano e in Toscana nel Seicento ci viene da Bartolomeo Bimbi (1648-1729), pittore alla corte di Cosimo III de’Medici che per il granduca realizzò un vivo campionario di uve, frutta e fiori tra i più stravaganti, nostrali o forestieri, che si potessero trovare: Cosimo III li aveva diligentemente raccolti e poi aveva dato mandato al pittore di dipingerli, per fissarli nel tempo in eterno. Due di queste quadri, conservati dal 1990 nella villa medicea Ambra di Poggio a Caiano, ritraggono appunto 37 e 38 tipi di uve diverse: grappoli, diligentemente numerati, che cadono armoniosamente da una folta vite con una serie di cartigli, a mo’ di didascalia, nella parte inferiore del dipinto. Di queste opere ci sono anche copie di scuola fiorentina, conservate presso la biblioteca dell’istituto di botanica dell’Università di Firenze (per un elenco dei vitigni cfr. “Le uve de’ Medici” – Palazzo dei Vini, Prato 1992). Nel suo viaggio vero o presunto su e giù per le colline della Toscana, nel Settecento, il poeta Anton Francesco Marmi si diverte a denigrare e far le pulci a numerosi vini illustri. Poi arriva a Carmignano ed incredibilmente ne canta le lodi, ecco cosa scriveva nel suo “Bacco trionfante in Carmignano”: "... al fine in Carmignano arrivo privo di speme e colmo di dolore, e trovo tutto il popolo giulivo, che mi riceve come il suo Signore, correndo tutto giubbilo e festivo ad offrirmi il dolce suo liquore venendo tutti ad incontrarmi a volo col vin di Monte Cucchi e Mont’Arbiolo Quindi mentre lo gusto e l’assaporo Sento glis pirti miei crescere all’alma Non essendo aspro come gli altri foro, ma del dolce sapor porta la palma, tal che solo o Carmignano onoro, giach’in te solo il cuor prova la calma et in te sol per l’avvenir che sia voglio o Patria gentil la Regia mia...".

    Nel suo soggiorno londinese Filippo Mazzei, girovago e diplomatico di Poggio a Caiano, era solito spesso pranzare e cenare con nobili e notabili, nella sue “Memorie della vita e delle peregrinazioni”, stampato nel 1756, ci racconta così di una cena a casa del signor Neave in cui furono portate in tavola (rigorosamente senza etichetta e senza dire prima da quale regione provenissero) una bottiglia di vino di Borgogna, una di Bordeaux ed una di “vin del Cartei, che era stato imbottigliato sei o sette anni prima”. I commensali bevvero e alla fine tutti diedero la preferenza a quel del Cartei. Poi, naturalmente, “restarono molto meravigliati quando intesero che era vin di Carmignano”. “Carmignano ?! Ma dove è mai ?” avranno esclamato.

    “Proprio ciò che tuttoggi ripetono in molti, all’estero ma anche in Italia, dopo esser rimasti affascinati dal nostro vino” commentano, sorridendo, alcuni produttori carmignanesi. Sul colle da cui domina la rocca millenaria di Carmignano sorge ancora oggi una villa abitata nell’Ottocento dalla famiglia Cremoncini, lì vissero Filippo ed il cavalier Eugenio e lì i due iniziarono fin dal 1825 una raccolta di vini così pregiati da meritare i primi premi all’Esposizione agraria toscana del 1857. Si narra che anche il re Vittorio Emanuele II si fosse recato di persona a visitare questa famosa collezione. Nel 1861 un vino della fattoria Cremoncini fu di nuovo premiato nel corso della prima esposizione italiana dell’industria e dell’artigianato, che con Firenze capitale si svolse proprio nel capoluogo toscano.Sull’etichetta si leggeva “Brillante Carmignano”, in omaggio probabilmente ai versi con cui nel Seicento il poeta Francesco Redi aveva lodato i vini di questi colli.Negli ultimi anni i produttori carmignanesi sono tornati a piantare i filari di vite alla distanza di un metro e 80 centimetri, come si usava ai tempi della mezzadria. Un ritorno all’antico: con più piante e meno grappoli, ma di migliore qualità. Negli ultimi decenni l’uso dei trattori aveva infatti costretto a distanze fino a 4 metri. La sfida tra ‘innovatori’ e ‘tradizionalisti’ si consuma invece in cantina. C’è chi fa un uso più diffuso di barriques francesi, botti più piccole per l’invecchiamento che accentuano alcune caratteristiche organolettiche dei vini e ne arrotondano il gusto, chi è ligio alla tradizione e chi infine cerca un giusto compromesso usando tutti e due i sistemi. Negli ultimi decenni la varietà di uve coltivate nella provincia di Prato oltre a quelle classiche e storiche come i vari sangiovese, trebbiano, il canaiolo, malvasia nera o colorino, cabernet sauvignon ecc., si è arricchita di altre varietà quali il Pinot Nero che nelle tenute di Bagnolo ha raggiunto livelli eccelsi.


    Ad oggi le denominazioni ottenute dai produttori della provincia sono ben 9, oltre alle numerose eccellenze fuori dalle denominazioni ufficiali e collocano la provincia di Prato nei piani alti delle realtà vitivinicole italiane:


    • Barco Reale di Carmignano DOC
    • Carmignano DOCG
    • Chianti DOCG
    • Colli dell'Etruria Centrale DOC
    • Colli della Toscana Centrale IGT
    • Toscano o Toscana IGT
    • Vin Santo del Chianti DOC
    • Vin Santo del Chianti DOC sottozona Montalbano
    • Vin Santo di Carmignano DOC


    A cura di Yuri Storai

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